Bio
Vi racconto una storia.
Figlio di artigiani migranti siciliani, sono nato nel 1958 in una casa in subaffitto in Vicolo del Fico a Roma, dietro piazza Navona.
Ho iniziato a suonare la chitarra a 10 anni. Alle medie con Giorgio Di Maggio suonavamo in cantina da Battisti ai Led Zeppelin.
A metà degli anni ’70 nel quartiere di 100celle, ho fatto parte di un gruppetto di ragazzi che frequentavano il teatro Arci di via Carpineto. Grazie all’iniziativa di due docenti di una scuola professionale della zona, mettemmo su un gruppo teatrale per lo spettacolo “100 celle una realtà”. Non eravamo attori, ma solo ragazzi senza futuro. In quel teatro durante i nostri lunghi pomeriggi, abbiamo visto passare personaggi che hanno scritto la storia di certa sinistra intellettuale. Lo spettacolo era strutturato in modo semplice: voce narrante che raccontava la storia del quartiere accompagnata dalla sequenza di foto diapositive e nel mezzo degli sketch che descrivevano alcuni spaccati di vita: dal lavoro minorile, alla disoccupazione, fino alla salute pubblica. E poi c’erano le canzoni (è così che ho cominciato a scriverle), quasi tutte in romanesco e dal tono popolare. Una sera, venne a trovarci Bruno Cirino, ricordo ancora l’atmosfera e l’emozione… alcuni semplici consigli e quella rappresentazione di borgata diventò teatro.
Il postino Luigi Martella era uno dei responsabili ARCI più attivi di Roma: era anche una specie di talent scout, fu tra quelli che lanciarono Francesco De Gregori & company nel mondo ARCI e dei festival dell’Unità. Fu lui a parlare con Cesaroni proponendoci di andare a cantare al Folk Studio. L’esperienza del teatro terminò di lì a breve. Restammo prima un gruppo ristretto e trasformammo quello spettacolo in qualcosa che assomigliava al Cabaret. Alla fine siamo rimasti in due: Pietro De Simoni ed io. Continuammo a scrivere canzoni e andavamo a cantarle la domenica pomeriggio al Folk Studio: Stefano Rosso, Ernesto Bassignano, Giorgio Lo Cascio… Oltre a Francesco De Gregori e Antonello Venditti e a tantissimi altri. Per questo sento di aver fatto parte della cosiddetta scuola romana e lo dico anche con un sottile senso di orgoglio.
Ho avuto anche esperienze dirette con alcuni di questi nomi, due quelle importanti: aver fatto la spalla a Francesco De Gregori quando presentò Rimmel in anteprima solo voce e chitarra e una notte indimenticabile in Sicilia passata con Giorgio Lo Cascio dopo un concerto. Già, la Sicilia in questo periodo mi aveva restituito se stessa attraverso delle persone stupende e che ho amato davvero, tra loro faccio il nome di Stefano Fanara.
Tutta quell’esperienza giovanile alla fine terminò. L’idea di cercare il successo non mi sfiorò mai. Ricordo che ci proposero di fare una prima tournée di festival dell’Unità per tutto il Lazio, ma non accettai e non accettammo di farlo, diciamo per motivi ideologici. Erano anni molto difficili e complicati e io della vita non ci avevo ancora capito nulla. Ad oggi, se ripenso al passato, mi vedo sempre alla ricerca di qualcosa che non ho mai saputo bene cosa fosse.
Oltre a suonare e cantare, disegnavo e dipingevo acquerelli, ma non mi sono mai definito un artista anche se mi piaceva da morire frequentare il mondo degli artisti.
Siccome la chitarra non me la sono mai scrollata di dosso, voglio ricordare anche un’altra esperienza, quella con Gianfranco Giombini (più un fratello che un amico) e una canzone in particolare, “Canzone per Valerio Verbano”, più che un brano, un’icona che ha rappresentato il racconto amaro per non essere riusciti a vedere qualcosa che somigliasse agli ideali che in quegli anni avevamo in comune in tanti, con molti dei qualii ho condiviso anche tanto affetto. Un brano per non dimenticare chi ha dato la propria vita per combattere la disuguaglianza e l’ingiustizia (https://youtu.be/Wt6yJNz13xg).
L’ultima esperienza musicale è stata come autore e chitarrista rock con i Garbages di Luigi Bernardini, scomparso giovanissimo (https://youtu.be/OU9kQkKCIOI). Con lui ho avuto un grande feeling musicale ed è stato per me un vero amico. Ma a metà degli anni ‘80 ero già grandicello di età e non potevo andare avanti all’infinito nelle vesti dell’eterno ragazzo. Grazie al mio diploma di Istituto Magistrale ho frequentato allora una scuola di specializzazione per l’insegnamento alle persone con disabilità, ho smesso di suonare pubblicamente e sono andato a lavorare nella scuola, è iniziata così una nuova avventura che ancora oggi è parte fondamentale della mia vita.
Nel ’90 all’università di Roma 3, dopo essermi iscritto al corso di Pedagogia, mi sono imbattuto in una bacheca con il programma del Laboratorio Tecnologie Audiovisive… Non mi sembrava vero. Quella fu la svolta che di fatto ha cambiato la mia vita in modo piuttosto radicale. Roberto Maragliano, il professore che lo dirigeva, mi accolse nel suo gruppo di ricerca, suppongo per le competenze creative che bene o male mi portavo dietro dalla vita precedente e forse allo stesso tempo perché ero entusiasta per questa nuova porta che si era aperta. Roberto era ed è un innovatore e non posso dimenticare l’opportunità e l’esperienza vissuta durante il ministero di Luigi Berlinguer, quando abbiamo portato nella scuola italiana i primi computer. Anche in questo caso l’idea era un po’ diversa da come stanno andando le cose ancora oggi. Pensavamo che Internet e le tecnologie avrebbero potuto cambiare la società, la maggiore circolazione dei saperi avrebbe superato quella supportata dal libro per pochi. In parte le cose sono andate così, ma c’è chi ha speculato su un’ignoranza di base che ha da sempre caratterizzato la nostra Italia fin dai tempi della nostra presunta unità.
In quegli anni, contemporaneamente alla morte prematura di mia madre, oltre a lavorare come maestro di scuola elementare, ho contribuito alla fondazione della Lynx, una software house per la ricerca e la realizzazione di applicazioni didattiche per la scuola. Sono stati anni bellissimi di ricerca e sperimentazione applicata direttamente a scuola (https://youtu.be/RJnfzSQqHr4), ma come per la musica, tanto lavoro, tanto impegno, ma soldi neanche a parlarne. In compenso però la società, ha dato lavoro, anche se a pochi, grazie all’infaticabile impegno dei soci, dei quali ricordo Stefano Penge, amico e testimone del mio matrimonio.
Nel 2000 ho sposato Laura e mi sono trasferito a Firenze. Abbiamo avuto presto tre figli. Prima Irene, che ora studia Biotecnologie molecolari all’università di Trento. Poi Damiano, partenza in salita, ma arrivati in cima è stata una bella passeggiata: ha compiuto da poco 18 anni, impegnatissimo per raggiungere la sua autonomia. Infine l’energica Benedetta che studia pianoforte al liceo musicale.
Nel 2005 ho lasciato la scuola dei bambini e mi sono occupato di ricerca e documentazione video e fotografica per INDIRE, qui ho incontrato persone bellissime, le ho tutte nel cuore, compresi coloro che non ho amato, tutte mi hanno dato qualcosa e spero anche io di aver fatto altrettanto con loro. Durante questi anni mi sono dedicato molto alla fotografia e ho pubblicato alcuni volumi. Nell’ambito di questa esperienza tra le diverse persone con cui l’ho condivisa, c’è Fortunato Gatto, grande paesaggista. Con lui, italiano trasferito in Scozia, una decennale amicizia a distanza. In tutto questo tempo ci siamo visti una sola volta per un workshop a Campo Imperatore. Ma abbiamo ore e ore di chat e di scambi telefonici in cui ci siamo confrontati sulle nostre esperienze più profonde, sulle nostre convinzioni, le paure, le aspettative, i progetti.
Dopo la morte di mio padre, ho scritto per lui una canzone e di li a poco ho acquistato la chitarra dei miei sogni. Ho così ripreso a suonare con una certa continuità. Il fatto di poter studiare e registrare in casa grazie al digitale, mi ha restituito nuovo entusiasmo. Nel 2019 ho realizzato il mio primo album di canzoni “Viaggiatori di strade”, forse un po’ grezzo, ma in questa occasione, con l’aiuto di Giuliano Pellegrinelli, bassista della prima ora dei Garbages e attuale fonico di palco, ho imparato i primi rudimenti del mixaggio digitale. Di qui non mi sono più fermato, ormai sono ufficialmente prigioniero della musica. E con Pietro De Simoni ci siamo anche regalati un singolo, “Le persone e la gente” che abbiamo realizzato in parte a distanza.
Il futuro. Innanzitutto spero di continuare a scrivere e cantare. Ho qualche resistenza ad esibirmi dal vivo. Ho un orecchio da cui sento poco e una Sindrome di Menier latente mi provoca acufene e vertigini. Non accade spesso, ma se dovessi esercitarmi in modo regolare col canto, accompagnato da una musica con volumi eccessivi, il problema si ripresenterebbe. Quando compongo e registro è diverso, lo faccio in modo saltuario e controllato. Al massimo potrò esibirmi con pochi brani, magari ospite di qualche amico musicista, ma mai più di tanto.
Vorrei però impegnarmi per portare la musica d’autore nelle scuole. Potrebbe essere una boccata d’aria per tutti quegli studenti che passano ore e ore dietro un banco. Spesso ci si dimentica che le ragazze e i ragazzi, disabili compresi, a quell’età sono governati dalla sfera emozionale e sensoriale, due aspetti spesso considerati secondari rispetto a quelli detti nobili della logica e della ragione. Ho l’impressione che si voglia trasferire ai più giovani un modello di vita statico, quando invece ad una certa età l’esperienza mentale deve essere accompagnata da quella fisica e concreta in modo molto più adeguato di quanto non sia in realtà.
Certo non c’è solo la musica, è tutta l’arte che può soddisfare questa necessità di sensorialitá. Per questo auspico la cura della sensibilità umana attraverso una maggiore promozione di esperienze artistiche e creative dentro tutte le scuole, riuscire a realizzare quest’altro piccolo sogno sarebbe un bel lasciapassare per il paradiso…
…A pensarci bene tutto è iniziato con due docenti che volevano fare teatro con un gruppetto di ragazzi senza futuro…
Giuseppe Moscato